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Come nasce questo libriccino...
Dopo 25 anni di sconfinate avventure insieme, gli ho detto: Pino, ascolta, mi racconti del profondo nella nostra vita...
gli ho chiesto: ti piacerebbe scrivere sull'amore tra due come noi, che l'hanno vissuta nel fuoco di un giorno...
perchè è così bello restare legati al desiderio misterioso e magico dell'amour fou...

                                                                Paola Grillo

Pino Bertelli

PAOLA GRILLO
SULLA FOTOGRAFIA
DEL CANTE JONDO

Sorgenti di pensiero, fiumi di inchiostro, frammenti di vita...
Un ponte verso Te, che ha cambiato anche l'autore.

Francesco Mazza                                    ...da una fotografia

E' stato presentato e ne hanno parlato qui:

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Che Pino Bertelli sia un grande fotografo è un dato ben conosciuto. Che sia anche un notevole poeta, non lo si sa, ingiustamente. Fotografia e letteratura si congiungono in lui inscindibilmente; ed è uno dei pochissimi fotografi al mondo a possedere un inusuale e profondissimo spessore culturale, soprattutto letterario. La sua fotografia, pur nella perfezione tecnica che la sostanzia, va ben al di là della felice inquadratura, della captazione ottimale di un momento irripetibile, della magia di un'emozione visiva.    (continua a leggere)

C'è tutto questo, ma c'è molto di più. La lente da cui traguarda il mondo è nutrita dai succhi più vitali della cultura occidentale, da letture sconfinate e assimilate e volte alla ricerca di una verità non contingente sui ‘perché’ imposseduti della vita umana. Questo volumetto ― una specie di plaquette che inaugura una collana destinata a sgranarsi nella sua successione di otto titoli con la medesima struttura ― scaturisce da una fotografia scattata da Paola Grillo (due corpi nell'intimità misteriosa di un contatto fisico e dell'abbandono fidente all'altro da sé) e da una sua domanda a margine, che è quasi un'invocazione, mutuata da Wystan H. Auden: «la verità, ti prego, sull'amore», con l’originario «vi» che è sostituito dal «ti». È rivolta al compagno di lunghi anni vissuti insieme, in una complicità totale, errabonda e simbiotica. E Pino raccoglie la sfida, affronta impavido il tentativo di darle una risposta su uno degli interrogativi (e degli enigmi) che hanno captato nell'avventura della sua conoscenza i più grandi poeti, dall'antichità al nostro secolo, e i pensatori più acuti del nostro recente tessuto culturale.
Ha un titolo a chiave, questo volumetto: che parte, sì, da una foto, ma vi congiunge il Cante Jondo. Improntato all’incontro fra la musica gitana e quella andalusa, è un canto profondo, «veramente profondo, più di tutti i pozzi e tutti i mari che circondano il mondo, molto più profondo del cuore che lo crea e della voce che lo canta, perché quasi infinito» (Garcia Lorca). Commistione di culture, espressione di un dolore ancestrale, ha avuto il suo momento più alto proprio con il lorchiano Poema del Cante Jondo (1921), che trova la sua linea portante nella forma di una donna alla disperata ricerca dell'amore. Ma come ha ispirato Pino Bertelli? Nell'uso reiterato e ossessivo della stessa nota; nella dimensione atonale, che rifiuta il costruttivismo logico-architetturale per un andamento rapsodico; nel cammino ondulare, nomadico, del viaggio conoscitivo sull'amore; nella pervasività del ‘duende’, quella forza misteriosa, quel fascino ammaliatore di un sentimento totalizzante, potentissimo, che è mistero e magia nel suo impossessarsi di noi.È una peregrinazione nell'amore, un viaggio per i sentieri erratici dell'amore: un originalissimo poema in prosa sull'amore, scandito in tre tempi che partono dalla metafora del melograno, simbolo «di seduzione, fertilità e bellezza». Bertelli pratica l'arte di «perdersi come un fanciullo» nel ‘duende’ del sentimento, perché ancora capace di ignorare il flusso degradante del tempo consuetudinario; e nel suo viaggio vincente al termine della notte, che sconfigge la solitudine, compie al tempo stesso una randonnée intertestuale fra coloro che l'hanno preceduto nel tentativo di dire una parola ultima sull'amore, quella che gli aveva chiesto Paola. E la trova spesso, molto spesso, nella sintesi aforismatica su ciò che scaturisce dalla condizione umana e la supera: l'amore «è un grido all'infinito che non teme risvegli»; «è un'immagine ostinata che afferra il passato e il divenire sui medesimi domani».Il dolore ancestrale del ‘cante jondo’ si converte nella sua negazione: la metamorfosi di Fillide in mandorlo è il simbolo della speranza, di una permanenza che è più forte della morte. Con intertestualità shakesperiana rovesciata, non c'è usignolo che offenda il silenzio della notte quando si rimane stretti nella felicità della compenetrazione, «finché non crescono le ali degli Angeli del non-dove». Se il secondo momento di questo prezioso volumetto disegna per flash attimali ― lungo questo percorso ― la vita con e per Paola, il terzo, brevissimo, va alle radici del sé, della sua infanzia, in cui si è compiuto l'inventario incancellabile dell'universo. E che in lui permane tale, per sempre, fino a questo «canto di un’infanzia intramontabile».

Aldo Maria Morace

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L'Angelo del non-dove è l'Angelo dell'Utopia, viene dal paese di cieli inadempienti e parla la lingua che non c'è... Lo trovi sulla strada che conduce a tutti e a nessuno... le sue origini si perdono negli scritti sacri, in quelli apocrifi e nelle storie fantastiche dei cuori nomadi... le parole dell'Angelo sono queste: non può esserci amore senza libertà, non può esserci libertà senza amore. Il respiro dell'amore e l'alba della libertà sono il sogno più grande e più bello che l'uomo abbia fatto su di sé e sull'intera umanità.

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Collana - Piccola biblioteca di fotografia del profondo Angeli del Non-Dove

A cura -  Francesco Mazza 

Testi Pino Bertelli

1 Paola Grillo SULLA FOTOGRAFIA DEL CANTE JONDO

2 Francesco Mazza SULLA FOTOGRAFIA DELL'INTIMA GIOIA

3 Pier Paolo Bertelli SULLA FOTOGRAFIA DELL’ARIA IN BIANCO E NERO

4 Maurizio Moretti SULLA FOTOGRAFIA SELVATICA DELL’AMORE

5 Romano Favilli SULLA FOTOGRAFIA DELL’AMORE ADDOSSO

6 Stefano Fontana SULLA FOTOGRAFIA DI RESISTENZA SOCIALE

7 Bruna “ Bru’ ” Felici SULLA FOTOGRAFIA DELLE PASSIONI SOTTILI

8 Jules Bonnot - Louise Michel PINO BERTELLI IL MALFATTORE DELLA FOTOGRAFIA.*

*Ci è pervenuto questo manoscritto su Pino Bertelli, da due ricercatori della Libera Università José Buenaventura Durruti di Barcellona (Spagna).

Caratteristiche volume 

Collana editoriale a cura di Francesco Mazza

Rilegatura: Filo refe
Formato tascabile 120 mm x 200 mm
Pagine 88
Copertina + Sovracoperta con bandelle

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Le fotografie sono state scattate con attrezzature Nikon

Alcuni estratti

 Dalla prefazione del  presidente del Consiglio della regione Calabria
on. Filippo Mancuso

...Convinti che nel passato della regione - a dispetto dei pregiudizi di chi vuole la Calabria terra di tapini lamentosi e, allo stesso tempo, degli atteggiamenti rassegnati di tanti calabresi che stentano a sfidare le difficoltà con un protagonismo generoso e solidale - ci siano risorse culturali immense per dare senso al presente. Risorse, materiali e immateriali, per avere fiducia nel futuro e che sarebbe un delitto sprecare.

 Dalla nota dell'editore
Francesco Mazza

...Solo le istituzioni, se si schierano, se animate di buone intenzioni e lo vogliono davvero, possono far iniziare, finalmente, un reale processo di cambiamento. ... Per gli scrittori che abbiamo voluto ricordare. Tommaso Campanella e Gioacchino da Fiore non sono passati invano: i nostri hanno avvertito la necessità di esporsi al pericolo, di andare contro l’ignoranza e l’ingiustizia con ogni mezzo e con ogni strategia possibile... Noi, chi aspettiamo?

 Dalla nota del fotografo
Pino Bertelli

... In Calabria ci siamo immersi in quella cultura millenaria che fuoriesce dai monti, dalle spiagge, dai volti di uomini e donne avvolti nel pensiero meridiano che li rende singolari se non unici per il loro intreccio meteco. Un popolo attraversato da sempre dalla miseria imposta e da insubordinazioni che lasciano il segno nelle pagine di storia. Baronie, chiese, mafie e stati hanno cercato di opprimere, sfruttare, vessare questa gente dell’accoglienza, della dignità, del coraggio che sin dalle rivolte del brigantaggio, ha mostrato una forza smisurata contro la fine del servaggio e la conquista dell’ingiustizia. Li chiamarono banditi… e invece erano dei partigiani che difendevano con le armi il diritto di avere diritti...

inizia così il saggio su Corrado Alvaro

L’infanzia e l’adolescenza e buona parte della giovinezza ― scriveva Alvaro in Memoria e fantasia ― rappresentano «l’inventario dell’universo». Pittori e scrittori hanno trovato «popoli interi di figure tra le poche persone del loro paese». Consapevole che con la sua generazione si spegneva tutto un mondo poiché la civiltà delle macchine stava creando una nuova razza di uomini, Alvaro concludeva che l’imperativo etico dello scrittore è di continuare a nutrire la propria arte con le intuizioni dell’infanzia e la leggerezza delle memorie che si riaccampano vive e vere al contatto con una realtà irrimediabilmente diversa.

Aforismi per Corrado Alvaro

“...Siamo usciti dal nostro paese, e ora non si può più tornare. Tutti quelli che escono dai nostri paesi non tornano più... noi siamo di quelli che non tornano, e di cui si pensa in paese che siano chissà dove, che stiano bene e godano...”

  “... Un giorno si dice di partire e si parte, e non si misura abbastanza che questo significa non tornare mai più...”

 “... Tutti vogliono partire, pensano di partire e di lasciare quello che chiamano il loro maledetto paese. E se un giorno hanno detto che partono è finita... soffriranno lontano, ma vogliono apparire fortunati.”

   “...Questa è la storia di quanti viviamo sotto il nostro cielo, e abbiamo cercato di farci una dignità e un decoro per la nostra esistenza...” (Mastrangelina)

inizia così il saggio su Saverio Strati

L’infanzia e l’adolescenza e buona parte della giovinezza ― scriveva Alvaro in Memoria e fantasia ― rappresentano «l’inventario dell’universo». Pittori e scrittori hanno trovato «popoli interi di figure tra le poche persone del loro paese». Consapevole che con la sua generazione si spegneva tutto un mondo poiché la civiltà delle macchine stava creando una nuova razza di uomini, Alvaro concludeva che l’imperativo etico dello scrittore è di continuare a nutrire la propria arte con le intuizioni dell’infanzia e la leggerezza delle memorie che si riaccampano vive e vere al contatto con una realtà irrimediabilmente diversa.

Aforismi per Saverio Strati

“Vorrei avere tanti libri, per leggerli. Leggerei dalla mattina alla sera, senza mai stancarmi, per imparare e sapere com’è fatto il mondo.” (Tibi e Tascia)

“Niente è cambiato per i poveri, vent’anni dopo la guerra! A comandare sono i padroni, da sempre: prima Giolitti, poi i fascisti, ora i democristiani che governano in nome di Cristo che offendono in mille maniere.”

  “Varrebbe la pena che i poveri decidessero a non fare figli. Le guerre chi le combatterebbe più?” (Il Selvaggio di Santa Venere)

inizia così il saggio su Saverio Montalto

Saverio Montalto è uno scrittore calabrese che nella sua opera più celebre – il romanzo La famiglia Montalbano, scritto tra il 1940 ed il 1945 ma pubblicato soltanto nel 1973 – ha raccontato organicamente la mafia della provincia di Reggio Calabria attraverso la descrizione di fatti accaduti nel 1918. Il suo vero nome è Francesco Saverio Barillaro, nato a San Nicola di Ardore, nella Locride il 19 febbraio 1898 e morto ad Ardore il 7 settembre 1977. Lo scrittore aveva partecipato alla prima guerra mondiale dopo la disfatta di Caporetto e, dopo i traumi di questa esperienza, aveva conseguito la laurea in veterinaria a Napoli. La sua vita, però, fu sconvolta da una tremenda tragedia familiare poiché il 17 novembre 1940 nel corso di un acceso litigio, nella sua casa di Bovalino, uccise a colpi di pistola la sorella Anna e ferì il cognato, che sottoponeva Anna a continui maltrattamenti, nonché la sua stessa moglie Iva.

Aforismi per Saverio Montalto

“Ormai tutto è cambiato e se per il momento non abbiamo tutto nelle nostre mani è questione di tempo perché l’avremo e allora guai a chi non sarà con noi. Tutti si devono convincere che se vogliono avere un po’ di comando debbono mettersi prima d’accordo con noi: assessori, sindaci, deputati, medici e avvocati e tutti quelli che vengono dopo” (La famiglia Montalbano) “

 Il pazzo non sa mai di essere pazzo e spesso non sanno distinguerlo neanche i signori psichiatri. Quanti e quanti savi, secondo loro sono pazzi, e quanti e quanti pazzi sono savi. E’ molto difficile stabilire un limite netto fra senno e follia. Non c’è stato uomo sulla terra, per quanto grande sia stato, che non abbia avuto i suoi momenti di follia. - Anche i saggi? - Anche i saggi. La loro saggezza non fu che un prodotto della loro, chiamiamola pure, sublime follia.” (Raptus)

inizia così il saggio su Mario La Cava

Nelle numerose interviste concesse a studiosi interessati a ricostruire la sua carriera, lo scrittore calabrese Mario La Cava amava sempre ricordare che l’anno della sua nascita, il 1908, era stato anche quello del grande terremoto di Reggio e Messina e che il terrore aveva accompagnato il suo arrivo sulla Terra. La famiglia La Cava appartiene alla borghesia di Bovalino Marina, un paese affacciato sulle coste dello Ionio. Rocco La Cava, padre dello scrittore, è maestro elementare e modesto proprietario terriero; la madre Marianna è una casalinga; e nell’ambiente familiare ricopre una certa importanza anche lo zio Francesco La Cava, medico e studioso di arte rinascimentale, dalla cui ricca biblioteca il futuro scrittore potrà reperire numerosi libri.

Aforismi per Mario La Cava

Non è necessario lasciare la propria terra per affermare il valore della propria creatività. In fondo chi decide di viaggiare, il mondo può solo guardarlo, mentre chi mette radici può capire di più il significato della realtà che lo circonda, può interpretarlo”. Sono le idee che devono viaggiare, più delle gambe degli uomini”
(da un intervista Gazzetta del Sud 1988)

Si fidava il bianco coniglio dei padroni e non aveva paura di nulla. Vedeva che lo trattavano bene, vedeva che lo accarezzavano. Mangiava nella loro mano, saliva sulle loro gambe nelle sere d’inverno, accanto al braciere, si faceva mettere per scherzo il piede sul collo. Rispondeva se lo chiamavano. Come pensare che la stessa mano che tante volte gli aveva dato da mangiare, in maniera così diversa e brusca l’avesse preso ora per le orecchie e con inaudita ferocia gli ficcasse il coltello nel petto?
(Caratteri 240)

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